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Linguaggio Inclusivo di Genere: Sessismo nella Lingua Italiana e Situazione nella Svizzera Italiana

Il maschile sovraesteso e l'approccio al linguaggio inclusivo vengono esplorati, dalla studentessa Linda De Spirito, in questa analisi dedicata al territorio della Svizzera italiana.

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Il maschile sovraesteso: definizione

Il maschile sovraesteso (o maschile non-marcato) definisce l’utilizzo di una morfologia maschile per riferirsi a “gruppi di persone in cui vi sia almeno un uomo” (“Linee Guida” 10) e “l’abitudine a usare […] il maschile singolare per riferirsi a certe cariche, anche quando a ricoprirle sono le donne” (Scarito).

E’ dunque una peculiarità che caratterizza le lingue flessive come le lingue romanze, e quindi anche l’italiano. Queste lingue sono dette gendered, in quanto “la specificazione del genere è fondamentale quasi in ogni parte del discorso” e forma la base dell’accordo di genere nella frase (Galeandro 67).

Tuttavia—nonostante questo articolo si concentrerà unicamente sulla lingua italiana—il cosiddetto “Man-principle” (Doleschal in Galeandro 67) si applica anche alle lingue prive di flessione di genere: questo fenomeno è dovuto al “bias culturale” per cui “una figura maschile” viene automaticamente “associata ad un termine anche nel caso in cui quest’ultimo si presenti di carattere neutro”, silenziando in questo modo “l’identità femminile” (67).

Alcuni ritengono l’utilizzo del maschile un’innocente “sottoforma del neutro”, che non danneggia la presenza femminile perché la coinvolge (68); tuttavia, la realtà è che esso implica un significato ideologico che ha ripercussioni sulle vite delle donne, come ad esempio nell’ambito professionale (68). Utilizzare le declinazioni maschili per riferirsi ai ruoli ricoperti dalle donne perpetua la convinzione che la donna sia meno competente rispetto all’uomo, mettendola in una posizione per cui “deve necessariamente identificarsi nel maschile per assumere credibilità” (68).

Ma come si è preso coscienza del ruolo nocivo del maschile sovraesteso, quali sono le implicazioni del suo utilizzo, e quali le proposte avanzate dalla Confederazione per ovviare alle sue problematiche?

Maschile sovraesteso: problematiche

Pauwels (2003) spiega che

“considerare l’uomo/il maschile come il prototipo della rappresentazione umana ridimensiona la donna/il femminile allo status della sottomessa, dell’invisibile, o marcata: le donne sono invisibile nel linguaggio quando sono nascoste in generiche espressioni che usano le forme maschili” (Pauwells in Galeandro 66).

Questo significa che utilizzare il maschile come unità di misura inevitabilmente pone il femminile in una posizione inferiore, ‘anormale’, che deve in tutti i modi conformarsi a quello che è lo ‘standard’.

Alma Sabatini è stata la donna che, grazie al suo studio pionieristico del 1987 intitolato “Il Sessismo nella Lingua Italiana”, ha identificato e messo in luce le problematiche che l’utilizzo del maschile comporta.

Sabatini spiega innanzitutto che la lingua è un tramite tra il parlante e la realtà, nel senso che “esprime la nostra visione dei fatti” piuttosto che essere “il riflesso diretto dei fatti reali” (Sabatini 9). Per questa ragione, la lingua assorbe le opinioni dei parlanti, quelle “sedimentate attraverso i secoli nella comunità alla quale [appartengono]” (10). È importante dunque riconoscere la lingua come “strumento ‘condizionatore’”, di cui è necessario “[predicarne] la modificabilità” (10).

Ancora più imperativo è prendere coscienza del fatto che “l’impostazione […] della lingua italiana” è “androcentrica”, implicando quindi “giudizi che sminuiscono, ridimensionano” e “penalizzano” la donna e tutti i ruoli che oggi è in grado di occupare (11).

Lo studio di Sabatini è così rivoluzionario perché ha il coraggio di smascherare il modo in cui l’italiano è “[intriso] di forme segnatamente sessiste e di valori patriarcali”, la cui “caratteristica inconscia e pervasiva le rende ancora più pericolose perché insidiose” (19).

L’italiano, dice Sabatini,

“è [basato] su un principio androcentrico: l’uomo è il parametro, intorno a cui ruota e si organizza l’universo linguistico” (20).

Un semplice esempio che Sabatini porta a sostegno di questa affermazione riguarda la doppia valenza del lessema uomo, il quale “può riferirsi sia al ‘maschio della specie’ sia alla ‘specie stessa’”, mentre il lessema donna “si riferisce soltanto alla ‘femmina della specie’” (20).

Allo stesso modo, il maschile sovraesteso “pervade tutta la lingua”: “qualsiasi sostantivo maschile […] riferito a persona può ugualmente rappresentare i due sessi o solo il maschile” (21). Basti pensare, ad esempio, a gli svizzeri: il genere grammaticale è maschile, tuttavia il significato può riferirsi sia alla popolazione maschile, sia a quella femminile e non-binaria.

Sabatini chiama questo fenomeno “falsa ‘neutralità’ del maschile”, poiché “spaccia per umano ciò che è solo dell’ ‘uomo’” (21). (Per un approfondimento su come questo influenza tutti gli ambiti della cultura e non solo la lingua italiana, vedere “Il Sessismo della Lingua Italiana” (1987)).

L’androcentrismo della lingua è inoltre supportato dalla ricerca, che ha osservato la difficoltà delle donne nell’identificarsi con pronomi maschili, concludendo che “i ragazzi crescono allargando la loro sfera di riferimento con pronomi maschili che essi apprendono ‘naturalmente’ in connessione con sé stessi, mentre le ragazze li devono apprendere ‘artificialmente’” (23).

Premettendo che il cambiamento in una lingua non può avvenire per pura “volontà” o “spontaneità”, ma deve essere sollecitato da uno sforzo consapevole e “deliberato” (98-9), Sabatini fornisce alcune linee guida e suggerimenti per minimizzare l’uso sessista della lingua italiana e “dare visibilità linguistica alle donne” (97). Alcuni di questi sono:

  • la femminilizzazione dei nomi di professione, mestiere, cariche e titoli;
  • una presa di coscienza sulla semantica delle parole, in modo da poterle impiegare sapendo “ciò che hanno fatto e fanno alle donne”, e “di come possono emarginarle, ridurle, ridicolizzarle” (100).

Nonostante il carattere rivoluzionario dello studio di Alma Sabatini, esso non rendo conto però dell’inclusività e della visibilità di tutte quelle persone che non si riconoscono nel sistema binario uomo-donna, principalmente perché il problema non era riconosciuto al tempo. Questo e altri punti importanti sono tuttavia affrontati dalle nuove linee guida della Confederazione, che saranno esplorate in modo più approfondito nella prossima sezione.

Le decisioni della Confederazione

Nel 2023, la Cancelleria federale ha redatto una “Guida all’uso inclusivo della lingua italiana nei testi della Confederazione” per far fronte alle problematiche sessiste poste dal maschile sovraesteso e trovare delle soluzioni che potessero essere impiegate nei testi ufficiali.

Brevemente, le soluzioni da attualizzare secondo la Confederazione—e che verranno esaminate più nel dettaglio più avanti nell’articolo—sono:

  • termini collettivi;
  • simmetria;
  • sdoppiamento integrale o contratto;
  • maschile inclusivo;
  • formulazioni passive o impersonali;
  • allargamento dello sdoppiamento (“Linguaggio Inclusivo” 0).

Inoltre, le linee guida vietano categoricamente “soluzioni che intaccano il sistema linguistico, quali l’inserimento di trattini o di punti mediani, e neppure altre scritture sperimentali come l’uso di asterischi, chiocciole, o lo schwa in fine di parola (0).

A questo riguardo sorge il problema dell’inclusività e visibilità di tutte quelle persone che non si identificano nel paradigma binario, al quale si aggiunge “il problema della pronunciabilità di molti dei simboli proposti nel parlato” e “l’accessibilità da parte di ampie categorie di cittadini” che presentato “problemi cognitivi o psichici” che potrebbero ostacolare la lettura e la comprensione della lingua (7).

Ciò che le linee guida si propongono è dunque di

“consolidare le pratiche relative alla parità linguistica fra uomo e donna” e di “cercare di dare visibilità, laddove possibile, anche a chi non si riconosce nel paradigma binario” (8).

L’Amministrazione procede poi rifiutando un cambiamento di tipo grammatico, preferendone uno piuttosto dei “discorsi” nei quali la comunicazione ufficiale avviene (8).

Nonostante la modalità della simmetria sia effettivamente inclusiva verso le donne, l’Amministrazione nota che “esplicitare in modo sistematico i due generi maschile e femminile rischia paradossalmente di sottolineare l’esclusione di tutte le possibili alternative di genere” (9). Per ovviare al problema, le linee guida propongono quindi la soluzione del cosiddetto “maschile inclusivo” (9). Esaminiamo di cosa si tratta nella prossima sezione.

Il ‘maschile inclusivo’

Le linee guida della Confederazione definiscono il ‘maschile inclusivo’ come “l’utilizzo della morfologia maschile per riferirsi all’intero spettro dei generi” (9).

I vantaggi di usare il maschile inclusivo sarebbero:

  • l’economia “dal punto di vista grammaticale”;
  • tenere conto “della separazione netta tra, da una parte, il genere grammaticale e, dall’altra, il genere socio-culturale” (9).

Le linee guida affermano poi che il maschile “non deve e non può essere ritenuto a priori discriminatorio, bensì fondamentalmente inclusivo di tutti i generi, posti in tal modo in uno stato di uguaglianza” (9).

Ulteriori soluzioni che dovrebbero accompagnare il ‘maschile inclusivo’ sono, innanzitutto, strategie che neutralizzano il genere, come:

  • l’utilizzo di “termini collettivi”;
    • Invece di: I cittadini, utilizzare: La cittadinanza.
    • Invece di: I lavoratori, utilizzare: Il personale.
  • l’utilizzo di “formulazioni passive”;
    • Invece di: Gli operai possono accedere alla rete durante…, utilizzare: L’accesso alla rete è consentito durante…
  • l’utilizzo di “formulazioni impersonali” (13).
    • Invece di: Le Svizzere e gli Svizzeri possono stabilirsi in qualsiasi luogo del Paese, utilizzare: Chi ha la cittadinanza svizzera può stabilirsi in qualsiasi luogo del Paese.

Un’ulteriore soluzione sarebbe quella di “abbinare sistematicamente il genere femminile a quello maschile”, la quale implica le strategie di:

  • “simmetria”;
    • Invece di: I consiglieri federali Karin Keller-Sutter e Alain Berset hanno seguito i lavori della Commissione. Utilizzare: La consigliera federale Karin Keller-Sutter e il consigliere federale Alain Berset hanno seguito i lavori della Commissione.
  • “sdoppiamento integrale”;
    • Utilizzare: Care concittadine, cari concittadini, …
  • “sdoppiamento contratto” (13).
    • Utilizzare: Cerchiamo un/a traduttore/trice di lingua italiana.

Tuttavia, l’Amministrazione nota che scegliere di “dare visibilità al genere femminile” (19) automaticamente implica il rischio di essere “a danno di chi non si riconosce nel paradigma binario” (13). La strategia dell’ “allargamento” quando si è certi che in un gruppo siano incluse persone non binarie dovrebbe ovviare al problema tramite l’aggiunta di un terzo termine, il quale abbia “morfologia maschile ma […] valenza inclusiva” (20).

Esempio: Care concittadine, cari concittadini, cari concittadini tutti, …

Nella prossima sezione verranno esplorate alcune opinioni delle linguiste e linguisti più influenti sul tema del linguaggio inclusivo (Vera Gheno, Massimo Arcangeli) e le soluzioni che propongono, le quali verranno messe a confronto con ciò che la Confederazione ha legittimato nelle sue linee guida.

Opinioni dell’Accademia e confronto

Considerato ciò che è stato in precedenza riportato dallo studio di Alma Sabatini, sembrerebbero sorgere incongruenze tra i propositi della Confederazione e le soluzioni attuate nelle sue linee guida.

La più eclatante riguarda forse il carattere effettivamente inclusivo (o meno) della morfologia maschile applicata in contesti in cui anche donne o persone non binarie dovrebbero essere rappresentate. Sabatini, infatti, descrive questa inclusività (o “neutralità”) come “falsa” (Sabatini 21), spiegando come il “maschile neutro occulta la presenza delle donne così come ne occulta l’assenza” (22).

Anche la linguista Vera Gheno ribadisce il concetto, dicendo che l’utilizzo della morfologia maschile non sia “neutro” né “inclusivo”, bensì “sovraesteso”, e dunque “usato solo per tradizione, perché la nostra è una lingua androcentrica” (Gheno in Mazzarello).

Un’ulteriore incongruenza si presenta riguardo all’utilizzo dello schwa o di altri simboli per riferirsi inclusivamente ad un gruppo misto di persone o ad una persona di cui non si conosce (o è irrilevante) il genere.

Nonostante le linee guida redatte dalla Confederazione la liquidino giudicandola una strategia che “[intacca] il sistema linguistico” (“Linguaggio Inclusivo” 0), il discorso dietro alla proposta dello schwa è più complesso e merita un approfondimento.

In un esempio, lo schwa sarebbe utilizzato in questo modo:

Invece di: Le maestre, i maestri

Sarebbe: Lə maestrə

Lo schwa o scevà [ə] è un fono appartenente all’inventario IPA (International Phonetic Alphabet) che occupa una posizione medio-centrale nel diagramma vocalico e che si pronuncia in modo “neutro”, ovvero mantenendo la bocca “rilassata” e “semiaperta” (Gheno “Schwa”). Nonostante lo schwa “non faccia parte dell’inventario fonologico dell’italiano standard”, è comunque usato in alcune aree dell’Italia, come ad esempio nel dialetto napoletano (Gheno 54). Il suo utilizzo come morfema flessivo “neutro” avrebbe un considerevole vantaggio rispetto all’asterisco o ad altre soluzioni simili: quello di corrispondere ad un suono (55).

Come spiega la linguista Vera Gheno, le principali preoccupazioni riguardo l’utilizzo dello schwa sembrano essere “la pronuncia” da un lato, e la sua “imposizione” dall’alto, invece che essere “imparato spontaneamente dai bambini”, dall’altro (58).

Queste preoccupazioni hanno portato alla formulazione di una petizione da parte del linguista Massimo Arcangeli, il quale descrive la proposta dell’introduzione dello schwa una “pericolosa deriva” e “l’ennesima follia […] sotto l’insegna del politicamente corretto”, ritenendolo “non […] [motivato] da reali richieste di cambiamento” (Arcangeli). Gheno riassume i punti principali di Arcangeli e del resto dell’opposizione allo schwa:

  • “l’idea che la schwa sia stata inventata da un gruppo ristretto di persone, rendendola così un’invenzione elitaria e artificiale, non fondata nei veri bisogni della comunità dei parlanti”;
  • “l’idea che sia ‘imposta dall’alto’, da quello stesso gruppo di intellettuali, ignorando la base storica che ne sta dietro”;
  • “l’uso irregolare di soluzioni prive di genere: ad oggi non c’è una grammatica coerente per l’uso della schwa” (Gheno 60). Ma, aggiunge Gheno, questo è dovuto al fatto che la schwa non è in realtà imposta dall’alto (60).

È interessante notare come nella petizione di Arcangeli i problemi presentati emergano principalmente da un sentimento purista e prescrittivo della lingua, che lascia spazio solo ad una piccola menzione dei gruppi ai quali l’uso dello schwa potrebbe arrecare difficoltà, ovvero “chi soffre di dislessia e di altri disturbi neuroatipici” (Arcangeli). Ulteriori parti della popolazione che ad ora sarebbero effettivamente svantaggiate dall’introduzione di un fono completamente estraneo all’inventario dell’italiano standard sarebbero, ad esempio, la comunità ipovedente e non vedente (Cristofori) e gli anziani (Gheno 62).

Inoltre, chi è opposto all’utilizzo dello schwa insisterebbe sul fatto che le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ abbiano altri problemi “più seri” rispetto alla lingua (60). Tuttavia, questo pone la lingua italiana “in opposizione con la realtà, come se lavorare con la lingua implicasse il non lavorare con altri tipi di problematiche” (60).

Lo schwa rimane la scelta della comunità non binaria, dal momento che soddisfa almeno tre scopi:

  • “parlare e scrivere di un gruppo misto”;
  • “parlare e scrivere di qualcuno il cui genere è sconosciuto o irrilevante”;
  • “parlare e scrivere di una persona al di fuori del genere binario” (62).

Tuttavia, a causa dei problemi e delle preoccupazioni sopra citate, l’idea di introdurre lo schwa in contesti formali sembra ancora lontana dal concretizzarsi.

Conclusione

Per quanto riguarda la Svizzera italiana e l’Italia, la questione dell’inclusività di genere nell’italiano sembra ancora lungi dall’essere risolta.

Se da un lato troviamo una volontà da parte della Confederazione di approcciare il problema e proporre soluzioni che possano soddisfare anche le donne e la comunità non binaria, dall’altro si vede un ritorno al “maschile sovraesteso”, mascherato da un nome sicuramente più allettante (“inclusivo”) ma che nella sostanza non differisce da ciò che Alma Sabatini criticava già negli anni ‘80.

Soluzioni più innovative come l’utilizzo di asterischi o dello schwa sembrano spaccare l’opinione di linguiste e linguisti contemporanei, divisi tra il riconoscere i vantaggi di adottare un nuovo fono che potrebbe includere uomini, donne e chi non si riconosce nel sistema binario, e gli svantaggi che potrebbero invece rendere la lingua italiana inaccessibile ad altre porzioni della popolazione, rendendola di fatto meno inclusiva.

La propensione della Confederazione verso la ricerca di una maggiore inclusività è apprezzata, e rappresenta sicuramente il primo passo verso un italiano meno sessista e discriminatorio. Tuttavia, una domanda rimane in sospeso: siamo giunti al traguardo, o è possibile fare di più?

Fonti Citate

Scarito, Agnese. “Il Femminile Sovraesteso.” Officina Digitale, 2024. https://www.officinadigitale.ch/il-femminile-sovraesteso/Nel vasto panorama del linguaggio inclusivo, il femminile sovraesteso emerge come uno strumento potente e necessario per riflettere sulla comunicazione inclusiva, modalità per rappresentare la realtà plurale e variegata della nostra società. Ma cosa significa esattamente questo termine e perché sta guadagnando sempre più attenzione nel dibattito culturale e sociale? In questo articolo, esploreremo il concetto di femminile sovraesteso e di comunicazione inclusiva, la sua rilevanza e il modo in cui può arricchire il nostro linguaggio quotidiano.

Arcangeli, Massimo. “Lo Schwa (ə)? No, Grazie. Pro Lingua Nostra.” Change.org, 2024. https://www.change.org/p/lo-schwa-ə-no-grazie-pro-lingua-nostra

Cristofori, Roberta. “Schwa, Tutti I Problemi di Una Sperimentazione Inclusiva (Ma Capace di Discriminare).” Change Makers Magazine, 2021. https://change-makers.cloud/schwa-tutti-i-problemi-di-una-sperimentazione-inclusiva-ma-capace-di-discriminare/

Galeandro, Simona. “Femminilizzazione vs. Neutralizzazione della Lingua.” Testo e Senso, n. 23, 2021, pp. 65-73.

Gheno, Vera. “Gender Inclusiveness in a Binary Language: The Rise of the Schwa in Italian and the Discussion Surrounding It.” Inclusiveness Beyond the (Non)binary in Romance Languages Research and Classroom Implementation, Routledge, 2024, pp. 50-65. [Le citazioni prese da questa fonte sono state tradotte da me.]

Gheno, Vera. “Schwa: Storia, Motivi e Obiettivi di una Proposta.” Treccani, 2022. https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Schwa/4_Gheno.html

“Linee Guida per L’Utilizzo di Un Linguaggio Inclusivo.” Università di Genova. https://media.unige.it/media_production/Linee_guida_linguaggio_inclusivo_zstrv7.pdf

“Linguaggio Inclusivo di Genere: Guida all’Uso Inclusivo della Lingua Italiana nei Testi della Confederazione.” Cancelleria federale CaF, 2023. https://www.bk.admin.ch/dam/bk/it/dokumente/sprachdienste/Sprachdienst_it/Linguaggio inclusivo di genere.pdf.download.pdf/Linguaggio inclusivo di genere.pdf

Mazzarello, Jasmine. “Il Maschile (Non è) Inclusivo.” TEDxReggioEmilia. https://tedxreggioemilia.com/il-maschile-non-e-inclusivo/

Sabatini, Alma. Il Sessismo nella Lingua Italiana. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993.

Linda De Spirito
Studentessa di letteratura italiana e inglese all'Università di Zurigo, lingua e linguaggio sono materie del suo quotidiano, oltre alla passione per la scrittura.

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